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Le dodici Sonate d’intavolatura per l’organo e ’l cembalo del compositore, teorico, didatta e storiografo Giovanni Battista Martini apparvero in stampa ad Amsterdam presso l’editore Michel-Charles Le Cène nel 1742, ma erano già state in parte composte nel 1736 e sicuramente ultimate nel ‘40. Definite dall’autore “sonate”, esse sono piuttosto concepite e strutturate come suites di cinque movimenti ordinati come segue: preludio (fa eccezione l’ultima sonata, che inizia con un’allemanda), fuga (genericamente intitolata “allegro”), movimento lento (solitamente un adagio), due movimenti rapidi, generalmente “allegri” o danze (corrente, giga, gavotta, minuetto, aria, ecc.). Destinate a “studiosi di cembalo, e d’organo, che senza passare per l’arduo, s’avisan poter giungere ad un gusto maestrevole” – come leggiamo nella prefazione all’edizione –, le sonate martiniane sono in realtà composizioni molto complesse, sia nel trattamento della materia musicale, sia per quanto riguarda le difficoltà tecniche che esse pongono all’esecutore: richiedono una notevole padronanza dello strumento ed una grande pratica del genere fugato. La densa scrittura polifonica tardo-barocca, vero e proprio sfoggio di sapienza contrappuntistica, si coniuga elegantemente con il gusto dell’epoca, anticipatore del primo classicismo.
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